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PROLOGO

 

Il chiostro abbandonato trasmetteva solitudine e silenzio, solcato da un vento insinuante e gelido. Pochi alberi spogli si raccoglievano timidamente accanto ai resti di un pozzo, ricoperto d’edera. Tutto sembrava sussurrare un dolore mai sopito: una lapide nell’angolo del cortile si presentava altera nel suo marmo nero. Non una foto o una data; solo poche parole scolpite:

“Ti ho protetto fino alla fine.”

Il nome di un uomo e di una donna.

Rumore di passi, foglie calpestate, il fruscio di un mantello, un fiore appoggiato con trepidazione.

Un sorriso.

Una lacrima.

Ricordi.

 

DETTAGLI

 

 

Abiti sul divano, una camera dalle pareti azzurre, un lampadario ancora acceso, voci raccolte in sussurri dalla stanza accanto. Una giovane seduta su un letto dai lunghi capelli biondi con lo sguardo pieno di sole, mentre accarezza il ragazzo al suo fianco, stretta in un abbraccio.

Tenerezza, passione, affinità.

Due sorrisi, due mani intrecciate.

Due nomi: Monia e Alessandro.

Un’unità.

Monia passeggiava serenamente percorrendo il viale della grande città. Si era trasferita da pochi mesi e tutto le era ancora nuovo. Si guardava attorno con smarrimento, stupore ed entusiasmo. Fissava i negozi, come per memorizzarne il nome, osservava la gente passare con la sua andatura così diversa e ascoltava i mormorii della gente, come per respirarne le particolarità, la cadenza, gli umori. Da sempre legata alla sua città, aveva faticato non poco nello spostarsi, ma era così alto il desiderio di aria nuova, che aveva superato anche quell’ostacolo con slancio.

Aveva visto e vissuto infatti, diverse situazioni drammatiche fino a pochi mesi prima, affrontando infine un esaurimento nervoso che l’aveva segnata profondamente. Trovare un suo equilibrio interiore non era stato facile, a seguito di una relazione sentimentale che l’aveva distrutta emotivamente, tanto da darle un senso totale di sfiducia nel prossimo, nella vita e in se stessa. L’entrata di Alessandro nella sua esistenza aveva combaciato con la fine di un periodo tumultuoso, fatto di avvocati, telefonate minatorie, problemi di lavoro connessi, instabilità su tutti i fronti. Aveva faticato ad accettarlo, non volendo più condividere nulla con nessuno, tanto soffriva al ricordo dei fatti ancora troppo recenti. La sua gentile insistenza però, delicatezza e sensibilità nell’avvicinarla e capirla, la sua pazienza nell’accettare i suoi silenzi o, per converso, i fiumi di parole che talvolta giungevano inaspettati ma graditi, uniti a quei suoi sguardi di rimprovero muto, ma secco nell’ascoltare gli errori di lei che, umilmente, si mostrava ai suoi occhi come un libro aperto, seppero convincerla che Alessandro poteva meritare la sua fiducia; si sentì così, finalmente protetta, accarezzata nell’anima, e libera nell’esternare ogni suo desiderio, fantasia e scrupolo, iniziò a vivere di un nuovo sorriso.

E fu così un nuovo giorno, dove tutto aveva diverso spessore.

Nel suo candore, misto a una squisita malizia, Monia riusciva con lui a giocare con le sue paure, sgretolandole in frammenti che restavano inerti.

La vita con lui si era colorata di aria pulita e finalmente, si era potuta dedicare anche alle sue aspirazioni, alla sua nuova famiglia e a ciò che più sapeva entusiasmarla: scrivere. Era entrata in un’associazione culturale per cui componeva novelle per l’infanzia e sceneggiature per il teatro, e ne era assai entusiasta.

Quel giovedì mattina stava giusto per recarsi alla sua associazione per discutere di un nuovo progetto, quando un’auto si accostò a lei, chiedendole alcune indicazioni stradali.

Avvicinatasi, un individuo scese dalla portiera posteriore puntandole qualcosa alla schiena e costringendola a salire, mostrando un sorriso agghiacciante.

Paura. Perché?

Parole vuote, frammentate.

Luci, ombre, disegni.

Odori diversi. Dolore.

Un grido.

Qualcosa entrarle nel fianco, come una spada conficcata.

Occhi sbarrati.

 

Terrore.

 

C’era odore di muffa e puzza di fumo, in quella piccola e sporca stanza. La benda sugli occhi le impediva di vedere l’ambiente e con chi avesse a che fare. Sentiva un dolore molto acuto all’altezza della milza e un senso di torpore, misto a forte sofferenza fisica.

Le mani legate dietro la schiena le impedivano qualsiasi movimento. Rimase immobile, come ad attendere l’inevitabile e, persa ogni lucidità, iniziò a sussurrare nomi e luoghi, come per chiedere aiuto. Gli occhi si fecero sempre più pesanti, la sensibilità del corpo si affievolì e subentrò il buio, devastante.

Appena riaprì gli occhi, in quel rapidissimo attimo che separa il sonno dalla realtà, ciò che vide fu ancora quell’oscurità, obbligata dalle bende che lasciavano appena filtrare una luce fioca.

Stretta in quelle corde, raccolta nell’angolo di quella stanza dai muri ammuffiti, ripensò a suo marito Alessandro.

Si ricordò del loro primo incontro, come in un gioco di rimbalzi, che nella sua mente non trovavano quiete o riposo; e, come in un film, rivide il suo passato, nel tremore di momenti di estrema solitudine, quando tutto era caos fuori e dentro di lei, senza risposte; si ricordò così di Enrico, incontro rovinoso della sua vita, e di tutte le peripezie vissute per causa sua, di tutte le lacrime trattenute, nell’attesa di potersi permettere un pianto liberatorio, nell’angoscia di momenti in cui nulla era chiaro e ogni cosa, ogni scelta, pareva perdere di significato.

Si era smarrita infatti, in un bosco di personaggi dai rami intricati e spinosi, alla ricerca di un qualcosa che le desse quella sensazione di solidità che tanto le mancava…

In un turbinio di parvenze ingannevoli, alla fine nulla le era rimasto fra le dita, se non un velo di amarezza e un sottile dispiacere offuscato da un velato disincanto.

Ritornò poi l’immagine di Alessandro a darle conforto e rivide le sue mani, forti ed eleganti, accarezzarle il viso, mentre si appoggiava ad esse con le guance, umide di lacrime. Ricercò quella sensazione, allontanandosi con la mente mentre qualche lacrima inumidiva quelle bende: subito il presente ritornò allora roboante e impietoso, e il buio la ritrovò sola, in quell’angolo ammuffito e maleodorante, in balia di un uomo mai visto, assoldato da qualcuno di cui non sapeva nemmeno l’esistenza, per delle colpe di cui non conosceva né l’origine, né l’evolversi.

Un bel buco nero dove annaspare, in mancanza di appigli senza sporcarsi le mani.

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